Una occultazione Elektr...izzante |
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Scritto da Pietro Baruffetti |
Domenica 03 Giugno 2018 00:00 |
Fig. 1 – Le postazioni già annunciate (indicata ciascuna da un telescopio con la base centrata sul luogo indicato) a poche ore dall’occultazione del 21 aprile. Fuori campo altre postazioni predisposte in Inghilterra. In realtà poi le osservazioni effettuata sono state sensibilmente di più, dato che in molti, alla loro prima osservazione di occultazione, non erano iscritti a Occultwatcher. La traccia prevista dell’occultazione era quella compresa fra le due linee azzurre, mentre la linea verde era il percorso del centro dell’ombra dell’asteroide. Nella striscia colorata in basso le diverse postazioni sono riportate nella loro posizione relativa entro (zona verde) e fuori la traccia. (da Occultwatcher)
Con l’approssimarsi dell’evento poi l’interesse è diventato, come si usa dire oggi, “virale” fino ad arrivare a 42 postazioni dichiarate (ma in pratica sono state molte di più, probabilmente oltre una sessantina) al momento dell’occultazione. Postazioni (vedi anche figura 1) ben distribuite lungo il tratto della traccia di occultazione compresa fra Inghilterra e Italia.
Ma cosa aveva di intrigante l'asteroide (130) Elektra da far restare svegli, fra una cosa e l’altra, fino alle 3 del mattino, tanti astrofili europei? Si trattava innanzitutto di un asteroide ben noto, con elementi orbitali molto affidabili, il che garantiva un’alta probabilità di risultato positivo per le postazioni ubicate entro o poco al di fuori della traccia asteroidale prevista. Stella e asteroide avevano inoltre una luminosità chiaramente distinta (vedi fig. 2), a favore della prima e con una magnitudine complessiva non proibitiva: i nostri due soci GAM che han partecipato all’osservazione hanno, ad esempio, utilizzato entrambi una camerina Watec 910HX e telescopi da 20 cm di apertura (ma avrebbero teoricamente potuto effettuare l’osservazione, con sufficiente precisione, anche con un telescopio da 5 cm ed ancor meno), fatto che lasciava prevedere una possibile occultazione ben evidente (sia per l’ampiezza del calo di luminosità atteso – attorno a 1. 8 mv – che per la sua durata – durata massima prevista circa 20 s). Dell’asteroide erano poi già note, nel catalogo DAMIT/ISAM, due possibili sagome che prevedevano 2 aspetti/sagome diversi fra loro al momento dell’evento, e c'era quindi da poter dire qualcosa su quale fosse quella valida.
Ad aumentare l’interesse c’era infine il fatto che conoscessimo già due sue lune (con diametri di pochi km) rilevate pochi anni fa, e ci poteva quindi scappare, chissà mai, la scoperta di una eventuale terzo satellite: un potenziale unicum (se si esclude Plutone, che ne possiede addirittura cinque) nel panorama degli
Come dicevamo la partecipazione italiana è stata numerosa (a nostra memoria, la più imponente mai avutasi in occasione di una occultazione asteroidale interessante l’Italia). Stimolata anche da una UAI News, nonché da appelli girati in canali diversi fra cui quello all’interno della sezione asteroidi dell’UAI stessa e dal relativo passaparola, ha visto infine almeno 18 postazioni italiane (col coinvolgimento di 29 osservatori, quasi la metà dei quali alla loro prima osservazione di una occultazione asteroidale).
Ma prima di dire dei risultati osservativi parliamo dell’asteroide protagonista dell’evento. Dello scopritore, il “rivoluzionario” e bizzoso astronomo tedesco-americano (con interessanti trascorsi italiani) Christian Heinrich Friedrich Peters, ci siamo ampiamente occupati parlando dell'occultazione di Pompeja nel 2012.
Fig. 3 - L’osservatorio Lichtfield da dove venne scoperto (130) Elektra e, in basso, lo scopritore Christian Peters. La foto dell’osservatorio è di fine ‘800 (verrà poi demolito nel 1912) mentre il ritratto di Peters è tratto da una sua foto in bianconero del 1875 circa.
La scoperta di (130) Elektra avvenne il 17 febbraio 1873 dal Litchfield Observatory, presso l’Hamilton College di Clinton (stato di New Tork – USA) dotato di un rifrattore da 35 cm (vedi Fig. 3). L’asteroide è un tipico asteroide della parte più esterna della Fascia Principale. Col suo diametro (stimato prima della
Fig. 4 – Posizione di Elektra e dei pianeti al momento dell’occultazione. Il reticolo è il piano dell’Eclittica, mentre le linee verticali segnano le distanze dell’orbita sopra o sotto il piano dell’Eclittica stessa. Figura ottenuta mediante la funzione Orbit Diagram dalle pagine del JPL Small-Body Database Browser, che permette liberamente e interattivamente tale calcolo immediato per tutti i corpi minori del Sistema Solare.
Ha un’orbita abbastanza inclinata sull’eclittica (22°.8461, vedi fig.4) mentre presenta un relativamente raro tipo G. Tale tipo asteroidale (da non confondere con quello delle stelle di tipo G) è presentato da circa il 5% degli asteroidi della Fascia Principale, ed è caratteristico degli asteroidi carbonacei, e con una albebo (riflettività) molto bassa, ovvero oggetti relativamente scuri. Il tipo G è lo stesso di (1) Cerere, come noto il primo asteroide scoperto e il più grande della Fascia Principale (al punto di essersi meritato attualmente il rango di pianeta nano). L’albedo geometrica stimata di Elektra, prima dell’osservazione, era valutata pari a circa 0. 075. Questo equivale a dire che in condizioni ideali (osservatore posto esattamente di fronte all’asteroide pienamente illuminato dal Sole posto alle spalle dell’osservatore stesso) la superficie dell’asteroide riflette solo il 7.5% della luce ricevuta dal Sole stesso.
Per intenderci siamo ai livelli della scurezza dei mari lunari, o, se volete, di poco più di una strada appena asfaltata (!), ma la misurazione delle dimensioni di Elektra sortita fuori nel caso dell’occultazione, farà scendere ulteriormente tale valore. Interessante poi il fatto che, appartenendo ad un tipo di asteroidi fra i più antichi, la sua superficie è stata esposta, verosimilmente per miliardi di anni, alla radiazione solare, e, oltre a scurirsi, presenta superficialmente (come già riportato in un articolo su Science del 1987) idrocarburi con uno spettro simile al meteorite Murchison (vedi fig. 5) una condrite carbonacea di tipo CM2, caduta il 28 settembre 1969 in Australia.
Fig. 5 – Sezione di uno dei frammenti del meteorite di Murchison. Nelle didascalie in inglese sono riportati numerosi interessanti dati. Questa potrebbe essere anche la composizione (e il colore) di (130) Elektra.
Su questi interessanti meteoriti sono stati ritrovati anche quasi un centinaio di aminoacidi e altri composti organici semplici, come conseguenza di una notevole percentuale di acqua – ghiaccio? – e idrati nel corpo di origine e della lunga esposizione della sua superfice alla radiazione solare).
Ma veniamo all’osservazione del 21 aprile. Come dicevamo, grazie ad un cielo sereno su gran parte del tratto europeo dell’occultazione, l’evento è risultato seguito da almeno 48 postazioni, di cui 18 italiane. L’elenco degli osservatori italiani e la strumentazione utilizzata compare in fig. 6.
Fig. 6 – Elenco degli osservatori amatoriali italiani che han preso parte all’osservazione di Elektra del 21 aprile 2018. Sono indicate anche la località, il diametro del telescopio (in mm), la tecnica di ripresa (camere CCD o video camere televisive usate nel campo delle occultazioni), e la durata dell’occultazione osservata da quella postazione. Tutte, come si vede, hanno avuto un risultato positivo tranne la postazione siciliana.
Tutte le postazioni italiane (fra cui quella dell’Osservatorio di Campo Catino, dell’Associazione Astronomica Frusinate, che utilizzava un telescopio da 80 cm di apertura) hanno potuto seguire l’evento, e tutte (tranne la postazione di Catania) con esito positivo. Molte hanno accolto il nostro invito ad osservare per più minuti attorno all’istante centrale previsto, nella speranza di poter catturare eventualmente anche una delle sue lune. La cosa non è riuscita, quella sera, né a noi né a nessun altro osservatore in Europa. La cosa si spiega abbastanza bene: le due lune note (scoperte, la prima nel 2003 grazie al telescopio Kech II, a Mauna Kea nelle Hawaii, e la seconda nel 2014 dal Very Large Telescope UT3 dell’ESO, presso il Cerro Paranal, nel deserto di Atacama in Cile; in tutti e due i casi operando con telescopi rispettivamente di 10 e 8. 20 metri di apertura ed ottiche adattive) hanno un diametro massimo stimato in circa 7 e 5 km, ma forse anche molto meno. La “rete” di corde europee vedeva una distanza media fra le corde superiore ai 10 km, per cui è stato facile per dei “pesciolini” di tale taglia sfuggire alla “cattura”. Per giunta alcune postazioni, ad esempio molte fra quelle operanti con CCD, avevano dei “tempi morti di ricarica” fra una ripresa e l’altra, talvolta più lunghi della durata massima prevista nel caso di occultazione da parte di tali satelliti (fonti diverse fornivano valori fra i 0,2 e i 0. 7s), per cui eventuali brevissime occultazioni secondarie potrebbero essere andate perdute anche a causa della tecnica di ripresa utilizzata da queste postazioni. Quel che si è prodotto (in maniera istantanea) è documentato ad esempio dall’immagine (fig. 7) che mostra lo stesso campo stellare a distanza di 0. 08 s.
Fig. 7 – particolare da due frame dal filmato di Pietro Baruffetti (socio GAM). Le due immagini sono separate fra loro di 0. 08 s. Nella prima la stella è ancora visibile, nella seconda l’asteroide ha ormai coperto la stella ed è rimasta visibile solo la fioca luce dell’asteroide stesso.
In rete sono visibili numerosi video ripresi quella notte, fra cui, per chi voglia vedere in cosa consiste una occultazione (e magari - scaricato uno dei filmati in formato .avi - fare pratica di riduzione dei dati coi programmi free Tangra e/o Limovie, che generano dal filmato una curva di luce), gli astrofili svizzeri hanno raccolto tutti i loro video alla pagina http://occultations.ch/images/20180421_Elektra_SCH_Video.mp4
In fig. 8 la curva di luce osservata dal nostro socio Pietro Baruffetti. Al termine dell’osservazione, tramite mail inviate all’interno della rete Planoccult, il curatore di Euraster, Eric Frappa, ha cominciato a ricevere decine di report osservativi.
Fig. 8 – Frammento di 30 s della curva di luce ottenuta da Baruffetti (GAM) al momento dell’occultazione. In verde chiaro la luminosità di una stella vicina, usata quale confronto, in giallo l’andamento della luminosità della coppia asteroide+stella occultata. Curva di luce ottenuta col programma (free) Tangra.
Fin da subito si è appalesata una sagoma dell’asteroide che presentava molti punti in comune con una delle due sagome DAMIT facendo escludere l’altra. Come ci è già capitato altre volte di dire tali sagome vengono ricavate dalla curva di luce. Ma, come si vede in fig 9, il lato sud di Elektra è in gran parte da ridisegnare. In alcune settimane (dato gli immancabili “ritardatari”, oppure a causa di report incompleti o contradditori) si è potuto arrivare alla figura 9, che disegna la sagoma di (130) Elektra al momento dell’occultazione e mostra che l’asteroide era in realtà spostato di circa 30 km verso Est, e con un anticipo medio di circa 3 secondi rispetto ai tempi centrali previsti per le singole postazioni. Quest’ultimo dato, a sua volta, indica uno spostamento di circa 15 km anche rispetto alla perpendicolare della traccia di occultazione inizialmente prevista dalle effemeridi, che quindi, grazie a questa osservazione, sono state conseguentemente lievemente corrette. Dall’occultazione si sono ricavate anche le dimensioni verosimili dell’asteroide in quel momento: 260x160 km. Come abbiamo detto quella sera han partecipato all’osservazione sia astrofili esperti che molti altri alla loro prima osservazione di occultazioni. È stato quindi interessante anche scoprire poi a posteriori gli errori che in buona fede si compiono in questo tipo di osservazione.
Fig. 9 – Sagoma di (140) Elektra al momento dell’occultazione. Le corde osservate (in rosso l’inizio dell’occultazione, in verde il termine della stessa) mostrano un buon accordo (nella parte sinistra) col modello 1856 del catalogo DAMIT. La forma reale disegnata dalle corde osservative si scosta abbastanza marcatamente nella parte destra del modello. La linea individuata da puntini (separati ciascuno da 1 s) indica il moto del centro previsto d’occultazione. Il margine di incertezza di alcune corde è segnato da due bare separate da puntini al momento della sparizione/riapparizione. Le osservazioni italiane sono distribuite nella metà destra della figura. (da Euraster)
Quando, come stavolta nel caso di Elektra, siano però presenti molte postazioni con tempi certi a pochi km di distanza (si intende, ovviamente, rispetto alla traccia dell’occultazione) è possibile a posteriori correggere queste misure imprecise. Se fossero infatti presi per buoni i dati grezzi (tempi non corretti) ricevuti da Euraster, questi avrebbero dato per Elektra la sagoma di cui in figura 10, ove sono evidenti alcune corde chiaramente non sincronizzate.
Fig. 11 – Elettra alla tomba di Agamennone dipinto di Frederic Leighton (1869) (Ferens Art Gallery, Inghilterra).
Per finire: chi era la Elektra cui è intitolato l’asteroide? Lo scopritore non disse mai con certezza a quale personaggio della mitologia si fosse ispirato (all’epoca la stragrande maggioranza dei nomi asteroidali erano, come noto, di tale origine) ma, verosimilmente, non si riferiva né alla figlia di Atlante e Pleione (una delle cosiddette Pleiadi; ed Elettra è anche il nome di una delle sorelle/stelle del notissimo ammasso aperto nel Toro), né ad altre due figure secondarie: un’Elettra figlia di Oceano e Teti (e a sua volta madre delle tre Arpie e di Iris, personificazione dell’arcobaleno), e a un’altra Elettra figlia di Danao che, assieme alle 48 sorelle (Danaidi), diede origine alla stirpe dei Danai (i greci).
Con tutta verosimiglianza si riferiva invece all’Elettra, figlia di Agamennone, il capo della spedizione achea contro Troia. La donna vendicò la vile uccisione del padre, al suo ritorno dalla Guerra di Troia, operata dalla madre e dal suo amante, facendo a sua volta uccidere, anni dopo da suo fratello Oreste, i due assassini. Una tragica figura mitica, che ha dato il nome, in psicanalisi, a un complesso (il complesso di Elettra) equivalente femminile del complesso di Edipo. Alla sua figura mitologica e alla sua tragica vicenda sono dedicati vari passi o opere della letteratura antica e moderna. Ricorderemo qui le omonime tragedie di Eschilo e Sofocle, le opere liriche di Richard Strauss o Modeste Grétry, o i drammi teatrali quali quelli della Yourcenar o di Alfieri. Una famosa trilogia teatrale, “Il lutto si addice ad Elettra” dello statunitense Eugene G. O’Neill (premio Nobel per la letteratura nel 1936) e in cui la vicenda era trasportata al tempo della Guerra di Secessione americana, fu anche trasposta in un film che in italiano ha lo stesso titolo, e che nonostante i giudizi della critica (che assegnò ai due protagonisti prestigiosi premi in qualità di attori) si rivelò uno dei più fallimentari investimenti finanziari della storia del cinema, facendo perdere all’epoca la stratosferica cifra di quasi 2 milioni di dollari alla casa di produzione. Passando alle arti figurative, in fig. 11 vediamo una raffigurazione pittorica del 1869, “Elettra che piange sulla tomba di Agamennone”, del pittore preraffaellita inglese Frederic Leighton.
Fig. 12 – Guglielmo Marconi mentre, a bordo del panfilo Elettra, preme il pulsante per accendere le luci del municipio di Sidney.
Come noto Elettra è stato, infine, anche il nome della figlia e del panfilo-laboratorio dal quale, nel periodo fra le due guerre mondiali, Guglielmo Marconi eseguì numerosi esperimenti di radiofonia. Uno di questi, quasi un mito per il mondo dei radioamatori, alle 11.03 del 26 marzo 1930, allorquando, dalla rada di Genova ove l’Elettra era ormeggiata, aveva acceso (oggi diremmo “in remote”) le luci del municipio di Sidney, in Australia (fig. 12), nella prima impressionante utilizzazione wireless a quasi 20 000 km di distanza! |